Un campione che ha scelto di racconatare la sua vita coi ricordi e non tanto con le parole. Il suo libro “Biografia di un campione” lo dimostra: un insieme di articoli di giornale, foto e aneddoti, la maggior parte raccolti dal padre che definisce come il suo primo tifoso. Gianni Rivera si presenta al Milan club di Margherita di Savoia come Giovanni perché il diminutivo con cui è stato chiamato da intere generazioni ormai appartiene a suo figlio, come specifica lui stesso, che dopo aver tirato dei calci a un pallone ha capito che sarebbe stato meglio fare il batterista. «Il calcio – afferma l’ex centrocampista – non è come la politica dove non ci sono amici. I legami coi miei compagni sono ancora solidi nonostante siamo lontani». Un matrimonio quello col Milan durato 19 anni con un palmares degno dei grandi dello sport. Oltre 500 presenze con una grande media gol, trofei sia nazionali che internazionali: la maglia numero 10 a strisce rosse e nere pare che non l’abbia mai tolta, a dimostrazione di questo c’è l’affetto dei tifosi, anche i più piccoli, che quando a San Siro lo speaker annuncia la formazione, nel proprio cuore a quella maglia associano ancora il talento di Alessandria. Insomma, «il ragazzo che vale mezzo miliardo» come lui stesso ha raccontato: «Ero un giovane calciatore e mi invitarono in un paesino vicino Milano all’inaugurazione di uno dei primi Milan club d’Italia. Dopo la conferenza andai in un bar e dei bambini mi assalirono. Uno di loro disse chi fossi a un anziano infastidito che era lì con dei suoi amici, dicendo: “È Rivera, il ragazzo che vale mezzo miliardo». L’anziano si volta verso i suoi coetanei e dice: «Quanto valgono poco i soldi».

Se fosse stato per il «Pelė con la pelle bianca», come lo definirono i giornali di un tempo, il Milan probabilmente non sarebbe mai andato nelle mani degli imprenditori cinesi. A Rivera il calcio di oggi non è che piaccia più tanto: «Cambio di regolamenti e altre variazioni applicate su un terreno di gioco che è sempre lo stesso calpestato da me ai miei tempi». Il fuoriclasse della Nazionale italiana e primo pallone d’oro della storia d’Italia continua a distinguersi per la sua libertà di pensiero che durante la carriera gli è costata anche sanzioni pesanti: «Mi sento tutt’ora un numero 10 perché quel numero dalla schiena non si toglie mai, per questo sono contro il ritiro delle maglie col pensionamento di chi le ha indossate: in questo modo si infrange il sogno di tanti ragazzi di vedersele addosso».