Bicameralismo perfetto e taglio dei parlamentari sono le basi della riforma costituzionale. Il prossimo 4 dicembre gli italiani saranno chiamati a scegliere se cambiare la Costituzione segnando “Sì” sulla scheda elettorale oppure lasciarla così com’è barrando il “No”. Insomma, uno dei referendum della stagione delle riforme aperta dal governo Renzo, anche se questa volta in ballo c’è il vertice della piramide delle fonti del diritto. Oltre ai primi due punti il ddl Boschi (dal nome del ministro delle riforme costituzionali) diminuisce i poteri dell’esecutivo, modifica i compiti delle regioni e le regole per eleggere il Presidente della Repubblica, cambia modalità per le leggi di iniziativa popolare e per i referendum, elimina il Cnel (consiglio nazionale per l’economia e il lavoro) e le province. Vediamo punto per punto cosa dovesse succedere in caso di vittoria del No o del Sì.

Senato: se vince il No continua ad approvare le leggi e a votare la fiducia, il numero dei senatori resta 320, gli ex Presidenti della Repubblica sono di diritto senatori a vita e il Capo dello Stato in carica ne può nominare altri cinque. Per essere eletti bisogna avere 40 anni e per eleggere 25. Se vince il Sì le leggi e la viducia al Governo saranno votate solo dalla Camera dei Deputati, mentre il Senato darà il proprio consenso solo per le leggi costituzionali, quelle che riguardano le minoranze linguistiche, referendum, trattati dell’Unione Europa, enti territoriali e l’elezione o la decadenza dei senatori.

Elezione del Presidente della Repubblica: se vince il No viene eletto dal Parlamento in seduta comune coi 2/3 dei voti alle prime tre votazioni, se non dovesse bastare dalla quarta votazione in poi è sufficiente la maggioranza assoluta (50%+1) degli aventi diritto. Se vince il Sì il Capo dello Stato viene eletto solo da deputati e senatori senza i 59 delegati regionali, nelle prime tre votazioni servono i 2/3 degli aventi diritto (circa 500 elettori) per eleggere il Presidente. Dal quarto al sesto scrutinio sono necessari 3/5 degli aventi diritto al voto (circa 440 elettori), dal settimo in poi la maggioranza dei 3/5 dei votanti (cioè quelli che sono presenti e votano effettivamente).

Poteri dellEsecutivo: se vince il No il governo mantiene una generica procedura abbreviativa che riduce i tempi dei lavori per quanto riguarda decreti legge e provvedimenti urgenti. I decreti legge sono ammessi solo in casi straordinari di necessità e di urgenza. Se vince il Sì nella Costituzione ci sarà il voto a data certa, cioè un modo che consente al Governo di accelerare l’iter di approvazione delle leggi ritenute importanti. L’esecutivo può chiedere alla Camera di inserire un testo tra le priorità da votare entro 70 giorni. La Camera può accogliere o meno questo iter.

Leggi di iniziativa popolare: se vince il No per fare una proposta di legge di iniziativa popolare servono 50mila firme degli elettori e un testo di legge redatto in articoli. Non c’è la garanzia che queste proposte vengano discusse e votate. Se vince il Sì serviranno 150mila firme, viene introdotta la garanzia costituzionale che la legge di iniziativa popolare venga discussa e votata in Parlamento.

Referendum: se vince il No per i referendum abrogativi il limite minimo degli aventi diritto per rendere valido il voto resta del 50%+1, non c’è garanzia  che queste proposte saranno discusse e votate. Se vince il Sì per i referendum abrogativi rimane il limite minimo al 50%+1 degli aventi diritto. Se sono almeno 800.000 gli elettori a richiedere il referendum abrogativo, il quorum si abbassa al 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei Deputati. Esempio: alle ultime elezioni politiche (2013) hanno votato, per la Camera, poco più di 34 milioni di elettori. Se un ipotetico referendum abrogativo venisse richiesto da 800.000 elettori, basterebbero circa 17 milioni di elettori + 1 (circa la metà di 34 milioni, appunto) per rendere valido il referendum. Nascono, inoltre, due nuovi tipi di referendum: quello propositivo e quello di indirizzo. Per decidere modalità ed effetti di queste consultazioni, serviranno prima una legge costituzionale e poi una legge ordinaria.

Competenze delle regioni: se vince il No le competenze fra Stato e Regioni restano divise in “esclusive” (solo dello Stato) e “concorrenti” (cioè su cui hanno competenza le Regioni sulla base di alcuni princìpi fondamentali dettati dallo Stato). Queste ultime vanno dall’istruzione alla protezione civile, dalla tutela della salute alla tutela dei beni culturali e ambientali, dalla ricerca scientifica all’energia, oltre a diverse norme che riguardano professioni e lavoro. Se vince il Sì viene riscritto l’articolo 117 della Costituzione. La definizione di competenza concorrente viene eliminata, mantenendo solo il concetto di competenza esclusiva. Aumentano le competenze dello Stato. Materie come energia, trasporti e infrastrutture strategiche e di rilievo nazionale, la sicurezza sul lavoro, la protezione civile e la ricerca scientifica tornano di competenza statale. Rimane il principio che lo Stato si occupi della legislazione di principio, lasciando alle Regioni quella specifica, su alcune materie, tra cui: tutela della salute, politiche sociali e sicurezza alimentare, istruzione, ordinamento scolastico. Lo Stato può esercitare una clausola di supremazia verso le Regioni, che gli permette di intervenire anche su materie non di competenza esclusiva per tutelare l’unità della Repubblica e l’interesse nazionale.

Abolizione delle province: se vince il No le province non vengono formalmente abolite del tutto, ma mantengono la struttura prevista dalla legge Delrio, che nel 2014 ha ridefinito l’assetto e le funzioni delle province. Se vince il Sì le province sono definitivamente abolite. Cambia l’articolo 114 della Carta. La Repubblica sarà costituita solo dai comuni, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato.

Abolizione del Cnel: se vince il No rimane in vita il Cnel, ovvero il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, un ente statale che ha la possibilità di proporre iniziative legislative in materia di economia e lavoro e di fornire pareri su questi argomenti. Tali pareri non sono vincolanti e vengono forniti solo se richiesti dal Governo, dalle camere o dalle regioni. Se vince il Sì la riforma abolisce l’articolo 99 della Costituzione e quindi scompare il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.