La tela del Santissimo Salvatore è tornata a Margherita di Savoia. Dopo un intervento di restauro curato dal laboratorio diocesano di Trani del professore Cosimo Cilli, il quadro è tornato allo splendore delle origini, cioè alla nitidezza che i colori e l’immagine avevano nel 1756, circa, quando l’immagina venne donata dalla Corona Borbonica come arredo sacro, con altri oggetti per il culto e la celebrazione, per la chiesa appena sorta. Fonti storiche, curate dalla docente Anna Maria Delvecchio, rivelano che l’arrivo dell’immagine fu un vero e proprio rito solenne con le paranze che dal porto di Barletta, dove sbarcò il vascello da Napoli col quadro, la portarono in processione fino alle Saline di Barletta. «L’icona – ha affermato il parroco don Matteo Martire – è qui da 260 anni. Soltanto in 3 occasioni ha lasciato la città: in occasione del primo restauro, quando è stata portata in piazza San Pietro da Suna Santità Benedetto XVI nel 2007 e in fine questo periodo di assenza di circa due mesi. La città, sia i salinari residenti che non residenti, è molto legata al culto del Santissimo Salvatore. È un giorno di festa. Il popolo di Dio ha avvertito l’assenza dell’icona. Chiaro, l’Eucarestia è il centro della vita cristiana. Ma anche le icone, come ci insegnano i fratelli orientali, sono un modo diretto per arrivare a Dio».

Margherita ha la sua storia, il problema è che viene ignorata. La rievocazione “Il Santissimo Salvatore e la comunità salinara”, curata dall’associazione Terra Salis, ha riportato alla luce le radici della città. Lungo corso Vittorio Emanuele sono stati organizzati dei “quadri viventi”, così sono stati chiamati, cioè delle scenette che ritraevano i tratti salienti dei primi anni di storia del popolo salinaro fino ad arrivare al ‘700. C’erano figuranti vestiti da pescatori, salinieri, contadini e massaie di un tempo. La rievocazione è partita dal 1105, ai tempi del primo insediamento dal nome Casale Sancta Maria de’ Salinis annesso alla diocesi di Canne. Un insediamento distrutto poco più di cento anni dopo da due violenti terremoti e un maremoto. Come se non bastasse, anche l’Ofanto, un tempo non in preda all’abusivismo come oggi, straripava e allagava i campi creando delle paludi a zona Canna Fresca ed Erba dei Cavallari. La popolazione fu costretta a emigrare al di là dell’Ofanto, a Barletta. Gli uomini, vista la vicinanza, continuarono a sfruttare le risorse del Casale per scopi lavorativi: coltivazione degli arenili, raccolta del sale, pesca. In questo modo l’ex Sancta Maria De Salinis fu annessa a Barletta e nacquero le Saline di Barletta. Adesso basta immaginarsi tutto questo inscenato per strada con nastri e teli blu ondeggianti e i figuranti che come attori si buttavano per terra per inscenare il sisma.  Oltre ai popolani c’era anche Re Carlo V che ha giocato un ruolo importante nella storia di Margherita affidando all’architetto della Reggia di Caserta, Luigi Vanvitelli, il compito di rimodernare la Salina. L’architetto e ingegnere d’acque creò anche la zona salante Regia per la «Gemma più preziosa della Corona», come la definirono i Borbone stessi. Con la riqualificazione del centro costiero, i salinari tornarono a casa loro e importarono da Barletta la venerazione verso l’immagine di Cristo alla colonna che richiama l’immagine impressa sulla sindone scoperta dai crociati. Dal 1756, quando la cappella fatta costruire nel 1733 da Onofrio Castellani (arrendatore della Salina) divenne parrocchia, la tela del Santissimo si trova nella chiesa che da lui prende il nome ed è venerata dai Salinari che mettono sotto la sua protezione: il mare, le Saline e gli arenili. Al termine del corteo don Matteo e il vicesindaco Angela Cristiano hanno firmato la bolla di riconsegna della tela. Le tre copie verranno conservate negli archivi della parrocchia, del Comune e della Curia.