«U Sandìseme è turnat a Ssalène», cioè il Santissimo è tornato a Margherita di Savoia, come dicono da queste parti. Due mesi di assenza per un restauro, operato dal laboratorio diocesano di Trani del professore Cosimo Cilli, che ha riportato la tela del protettore della città agli antichi splendori. Affermare che nella chiesa madre adesso sia possibile osservare l’immagine di arte Napoletana così com’era quando è stata donata nel 1756 dai Borbone come arredo sacro per la chiesa appena sorta, non è un azzardo. «Il tempo – ha affermato il professore – aveva alterato i ritocchi del primo restauro del 1989. Quindi mancava la lettura cromatica del dipinto. Abbiamo pulito e rimosso i segni del vecchio restauro e la pittura protettiva ingiallita. Abbiamo ripristinato alcune zone anatomiche ormai andata perse. Tutto il dipinto è stato riportato al suo pigmento originale. In modo particolare sono emersi i piedi, soprattutto il piede destro, che erano solo abbozzate e la base della colonna. Più nitidi sono anche i particolari architettonici e i capitelli». Dopo il restauro è possibile vedere chiaramente Gesù legato a una colonna del Pretorio coi segni della flagellazione e il sole con la luna intorno al volto circondato dall’aureola rossa. Un simbolismo quasi cancellato ma che è fondamentale nell’iconografia cristiana: la luna indica la natura umana, il sole la natura divina. Il motivo è legato alla natura astronomica del corpo celeste e del satellite: la luna muta nelle sue fasi e quindi subisce i mutamenti del tempo; il sole resta sempre lo stesso, una palla infuocata che non cambia né subisce mutamenti come se fosse eterna. L’aureola indica la santità, il colore rosso la regalità.

Il restauro della tela è diviso in tre fasi: una prima fase di microspia ottica e fluorescenza coi raggi ultra violetti utile a mettere in luce la presenza di materiali organici trasparenti e poco colorati, come le vernici, i film di adesivi, i protettivi, i leganti pittorici, per lo più fluorescenti perché invecchiati, o di eventuali aggressioni biologiche. Una seconda fase di pulitura del dipinto con particolari solventi utile a eliminare dal manufatto le sostanze estranee presenti sulla superficie e le alterazione che ne compromettevano l’integrità e la visibilità del dipinto. Una terza fase di reintegrazione pittorica cioè un intervento eseguito con brevi tratteggi o puntini di colori selezionati in armonia con la cromia di una parte o di tutto il dipinto. «Abbiamo utilizzato – ha concluso Cilli – dei solventi idonei per la pulitura del dipinto a seconda del tipo di sporco o di vernice. Inoltre è stato fatto un restauro a selezione cromatica con tanti piccoli tratteggi che hanno ricostruito la pennellata originale del pittore».